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Presentazione

Paolo Caucci von Saucken
Presidente
Centro Italiano di Studi Compostellani

Nel mondo compostellano, alla fine, i conti tornano sempre. D’altronde, quando le premesse ci sono, quando c’è quell’insieme di passione e di rigore che accompagnano ogni buona iniziativa, quando i tempi sono maturi, quando c’è la persona giusta e l’ambiente adeguato, i risultati sono inevitabili. Non sono sfuggiti a questa regola la rinascita dei Cammini di Santiago e lo sviluppo della ricerca scientifica per questa materia, né sfuggirà il senso ed il valore di questo libro sulla Sicilia jacopea. Tutte le condizioni, infatti, sono presenti: un autore serio ed appassionato, un ambiente favorevole, disposto a collaborare, un anno santo compostellano che fa da contorno all’uscita del libro, studi già realizzati, o in itinere, che ne costituiscono le premesse ed il retroterra. Questa pubblicazione, d’altra parte, si pone nell’ambito di una ricerca che in Italia iniziò in maniera organica al principio degli anni Ottanta, allorché venne fondato il Centro italiano di studi compostellani con il dichiarato scopo di coordinare e promuovere gli studi sulla questione. Fu l’epoca dei primi convegni: a Perugia nel 1983, a Pistoia nel 1984, Viterbo nel 1987, … che segnarono in Italia i primi passi dell’appena costituito Centro. A livello europeo fu il tempo delle dichiarazioni solenni come quella Declaration de Saint-Jacques del Consiglio d’Europa del 1987 che dichiarava l’insieme dei Cammini di Santiago, primo itinerario culturale europeo. In quegli anni cominciarono a concretizzarsi molte iniziative, da tempo in fermento, che permisero alla tradizione compostellana, apparentemente dimenticata, ma ben radicata nella memoria collettiva, di tornare impetuosamente alla luce per dar spazio alla grande ripresa dell’interesse compostellano in un numero sempre maggiore di Paesi europei. Poco si parlava della Sicilia. Eppure nella prima carta ufficiale degli itinerari compostellani, un timido cammino, appena accennato, risaliva dal Meridione per confluire nella Francigena e nel gran sistema itinerario rivolto ad Occidente. Il legame esisteva e la tradizione pure, sempre rimasta viva a Camaro, a Caltagirone, nelle devozioni popolari e nel folclore sparsi in tutta l’isola che ne era rimasta gelosa custode. Da allora molto tempo è passato, spesso con un’accelerazione insospettata che ci ha fatto vedere masse di pellegrini e, perché no, anche di turisti colti e interessati, muoversi per le strade per Santiago, alla ricerca di un’identità e di una tradizione che sentivano propria e che volevano conoscere. Questo libro si pone a pieno diritto in tale contesto. Segna un importante passo in avanti degli studi compostellani in Sicilia, iniziati da tempo, ma in forma locale e dispersa, perlomeno fino al convegno di Messina del 2003 che segnò il primo importante punto di aggregazione dal quale, in un certo senso, questo libro è diretta conseguenza. È stato un rifiorire quasi improvviso. Poche volte infatti mi era capitato di potermi confrontare con una massa così grande di dati, di informazioni e di realtà, come quando in occasione del congresso, venne portato il Fercolo di Camaro in cattedrale accompagnato da sette confraternite, con i propri abiti e con i gonfaloni che mostravano antiche immagini di San Giacomo. E la stessa sensazione la ebbi poco dopo a Caltagirone ed anche lì sarei rimasto abbagliato dalla bellezza dell’Arca di San Giacomo e da quello che significava per la città il suo culto. Ora Arlotta recupera in tutta la Sicilia la presenza di San Giacomo e la pone in evidenza. Sono certo che questa opera aprirà cammini e che produrrà ottimi risultati. Innanzitutto perché è un ottimo lavoro sulla Sicilia jacopea, della quale mette in evidenza le principali emergenze. Poi perché c’è la memoria di una terra che ha saputo conservare gelosamente le proprie tradizioni e che al momento opportuno le svela con generosità. In tal senso è molto più di una guida. Ci sono certamente itinerari, elenchi di luoghi da visitare, ma si avverte che dietro c’è un retroterra molto vasto di studi e di ricerche che li giustifica e che ne dà il significato. Che in Sicilia si stia aprendo una nuova stagione si avverte anche dalla Confraternita di san Jacopo di Compostella che ha la sua sede a Perugia, ma che ormai ha una struttura a livello nazionale, che da qualche anno va dando un numero sempre maggiore di credenziali, documento indispensabile per realizzare il Cammino di Santiago, ai pellegrini siciliani che vanno a Compostella, come ai vecchi tempi, a piedi, lungo le antiche strade. Nel 2003 una cinquantina di siciliani guidati da padre Zito ha riempito di gioia e di allegria la piazza della cattedrale di Santiago, ma molti altri singolarmente testimoniano l’antica passione, zaino in spalla, lungo i settecento cinquanta chilometri che la separano da Roncisvalle. Ma lo si avverte anche dall’interesse che sta risvegliando nell’ambiente universitario, dove Maria Luisa Tobar dalla sua cattedra di Messina ha dato un sostanziale contributo alla realizzazione bilingue di questo testo e progetta ricerche ed attività accademiche. Né poteva essere diversamente essendo nata a Tardajos (Burgos), sullo stesso Cammino di Santiago. Lo si avverte per le iniziative che Massimo Porta sta realizzando in nome del Centro italiano di studi compostellani a Caltagirone e per l’infaticabile lavoro di padre Cento che è riuscito ad ottenere l’indizione di un "Anno santo compostellano", con tanto di Porta Santa ed indulgenze, a Camaro. Lo si avverte, infine, dalla sensibilità con cui Amministrazioni ed Enti pubblici hanno accolto l’iniziativa. Quindi, un libro che si pone, con ottime premesse, all’inizio di una nuova stagione e che va in due direzioni. Una, ovviamente, verso Santiago che resta sullo sfondo, ma che è indispensabile che ci sia, perché dà senso ed unità alla materia esposta, ed un’altra verso la valorizzazione del sorprendente patrimonio jacopeo che si spande ed articola in tutta la Sicilia. Due dimensioni complementari che, d’altro canto, rinviano a quella unità spirituale e culturale data dal pellegrinaggio compostellano che sia il Consiglio d’Europa, che Giovanni Paolo II hanno indicato come primigenia radice d’Europa; e credo che nell’epoca in cui stiamo vivendo sia assolutamente importante ritrovare e mantenere tradizioni, radici ed identità comuni. Anche per questo ritengo necessario e doveroso ringraziare Giuseppe Arlotta, non solo per i suoi studi di cui abbiamo avvertito la qualità fin dalla prima volta che l’abbiamo ascoltato, ma per la sua capacità di render una ricerca, destinata fino a qualche tempo fa alle riviste specializzate, materia viva, segno evidente sul territorio, seme fecondo capace di attivare energie.